Giustizia

Il true crime è una piaga

Un paese di 60 milioni di detective e giudici, o semplicemente di sudditi?

Molti mi chiedono perché dedichi il mio tempo al “true crime” quando sta per scoppiare una guerra mondiale. Domanda in realtà stupida, se non fosse posta da chi proprio non ha idea di cosa sia la giustizia (beato lui).

La giustizia in Italia è un terreno di vero scontro bellico. Se le tensioni internazionali avvengono lungo faglie che tagliano in due il mondo, la guerra interna avviene nelle aule dei tribunali e nelle corti d’appello. E i caduti di questo conflitto sono tantissimi, e quasi sempre solo da una parte, quella del popolo.

Oltretutto io non mi sono mai occupato di “true crime”, che è la versione digitale della più morbosa e ignorante cronaca nera, ma semmai di cronaca giudiziara, che è ben altra cosa.

È in questo filone che rientra anche il mio ultimo lavoro, una intervista esclusiva e mai vista prima al medico legale dott.ssa Ranalletta, che svela come anche dal punto di vista medico-legale la vicenda processuale di Bossetti sia surreale. Guardatevelo, da non dormirci la notte.

Inutile girarci attorno: il grande successo della serie Netflix Il Caso Yara: Oltre ogni ragionevole dubbio ha fatto rodere il culo a tanta gente.

Gente con problemi di autostima (tutti fondati) che vuole rimarcare e rendere chiara la distanza tra il sé, formato sui banchi di qualche (se va bene) università di provincia (quasi sempre studiando il nulla mischiato col niente di un corso di laurea in filosofia), e il popolino, che vuole saperne di giustizia dopo aver visto una serie tv.

Nullità, si direbbe.

Ma è peggio, perché questi miserabili accattoni intellettuali con una mano ammoniscono la cronaca giudiziaria derubricandola a “true crime” senza di solito neppure essersi abbassati a guardare quello che pretendono di giudicare; ma con l’altra cercano di comprare la tua attenzione per il loro misero prodotto, che normalmente, fateci caso, è indirizzato a individui deboli e facilmente manipolabili.

E così ti ritrovi a leggere l’editoriale al vetriolo contro la serie Netflix scritto da colui che normalmente si rivolge agli adolescenti con problemi relazionali e frustrati dall’assenza di prospettive sessuali; ascolti il podcast di quell’altro che per tutto l’anno riassume il pensiero dei grandi filosofi e spiega ai ragazzini perché si sentono inadeguati (chissà perché lui può fare da cinghia di trasmissione tra una disciplina e il popolaccio, mentre un documentario no, e fa già ridere così) che non riesce a trattenersi dal criticare non la serie su Yara – va da sé, non l’ha vista – ma addirittura i suoi spettatori.

Senza contare le orde di sciacalli che, non avendo in vita loro mai risolto problemi più complessi dell’indecisione di spingere o tirare la porta su cui c’è pure scritto “spingere”, ma sbagliando pure quello, adesso scaricano da internet “le sentenze” e pretendono di raccontarci dove e perché la serie Netflix dice il falso.

Pazzesco.

Chiamiamo pure “true crime” ciò che in realtà è cronaca giudiziaria e traiamo una conclusione amara: è vero che il true crime ha tirato fuori il peggio della società, ma il peggio non è chi lo segue e pensa di sapere, ma è chi non lo segue e pretende di avere qualcosa da insegnarci in proposito.

Ridiamogli in faccia.

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Andrea Lombardi

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