Lo so, ormai non vi ricordate nemmeno più come sia iniziata. Fate fatica anche a capire se è successo l’anno scorso, quello prima, o quello prima ancora. Vi sforzate di ricordarvi se avevate solo la mascherina quel giorno, o eravate ancora chiusi in casa.
Ottimo.
Dico sul serio, è una buona cosa. Significa che possiamo affrontare l’argomento finalmente con un po’ più di serenità.
Non è vero.
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Ci sarà anche oggi gente pronta a farmi la pelle. Ma non importa, ho fatto uscire un video davvero importante, in cui vi racconto quattro vere ragioni per cui è plausibile che sia scoppiata la guerra in Ucraina.
E no, l’espansione a est della NATO è solo la punta dell’iceberg, come scoprirete. A proposito, aiutatemi a far girare questo video, mandatelo a un vostro amico russofobo su WhatsApp, così ci facciamo due risate.
Ho deciso, a quasi due anni dall’inizio del conflitto, di ricordarvi qualche evento sepolto nella memoria storica, e ignorato ad arte da tutti i mistificatori che ci bombardano ogni giorno con le loro strambe teorie.
Ecco quattro ragioni, serissime, che hanno gettato benzina sul fuoco e probabilmente contribuito a causare la guerra in Ucraina.
Sgombriamo il campo dalla propaganda
Come prima cosa facciamo pulizia. Togliamo di mezzo il Donbass, e la questione dei russofoni che lottano per la loro indipendenza in quella regione dell’Ucraina. Pensare che la Russia abbia scatenato una guerra per soccorrere una manciata di abitanti è altrettanto ingenuo che pensare che la guerra sia iniziata per soddisfare le voglie imperialiste di Putin.
Pura fantasia.
Ovviamente non sto negando l’esistenza della questione, certamente esiste e ovviamente ha giocato un ruolo, soprattutto nella propaganda russa che deve giustificare l’azione al suo popolo, usando argomenti semplici e comprensibili da chiunque. Ma non è questa la causa delle ostilità. Non secondo me.
Espansione della NATO a Est
Partiamo da uno dei temi più discussi, ma anche uno di quelli che, preso senza contesto, è tra i meno importanti: l’allargamento della NATO verso est. La storia è questa: con la riunificazione della Germania sotto l’egida della NATO gli americani, con il presidente Bush padre, assicurarono alla Russia di Gorbačëv che l’alleanza non si sarebbe espansa verso est.
Com’è noto la promessa non fu mai formalizzata in un trattato, sebbene ne sia rimasta traccia nei verbali delle riunioni e nelle testimonianze dei presenti. I russi sbagliarono e si fidarono, e gli americani ne approfittarono.
Il coinvolgimento dei paesi dell’est Europa procedette a ritmo serrato.
1999: Polonia, Ungheria, Rep. Ceca
2004: Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia
Certamente l’allargamento della NATO creò un tema di fiducia. I russi si sentirono traditi e presi in giro da Washington, che a prescindere dall’esistenza o meno di un accordo scritto sapeva bene di stare coinvolgendo in un’alleanza militare paesi molto vicini, e addirittura confinanti, con la Russia.
Non penso ci sia bisogno di spiegare perché questo sia pericoloso e rappresenti una minaccia per Mosca. Basti pensare cosa succederebbe se il Canada o il Messico entrassero a far parte di una alleanza militare guidata dalla Cina o dalla Russia stessa. E voglio anticipare anche una contestazione bambinesca che spesso viene fatta. «Eh, ma i paesi che entrano nella NATO ci entrano liberamente perché lo vogliono, avranno il diritto di allearsi con chi vogliono?». No, non ce l’hanno questo diritto. È una considerazione puerile, tutti noi abbiamo il diritto di uscire a cena e di dormire con chi vogliamo, ma normalmente nessuno porta a cena e poi va a dormire con la moglie del suo migliore amico, e chi lo fa viene giustamente visto come un verme infame. Se questo principio non vi suona, forse prima di occuparsi di geopolitica e di relazioni internazionali è meglio raggiungere una minima consapevolezza del mondo.
Tuttavia l’allargamento della NATO verso est si inseriva in un contesto di relazioni altalenanti tra Russia e occidente. I primi anni di mandato di Putin, diventato presidente nel 2000, furono anni contraddistinti dall’apertura, quasi da un tentativo di avvicinamento in amicizia, verso gli Stati Uniti. Il punto più alto delle relazioni tra Russia e Occidente fu Pratica di Mare, quando nel 2002 Silvio Berlusconi riuscì, grazie ai buoni rapporti che aveva sia con Bush Junior che con Putin, a far sedere i due presidenti allo stesso tavolo. In quel periodo la storia avrebbe addirittura potuto imboccare la via di un ingresso della stessa Russia nella NATO.
Ma c’erano anche tensioni, evidenti per esempio già durante la cosiddetta seconda guerra cecena, quando Mosca alle prese con i separatisti ceceni e i terroristi delle Brigate Internazionali Islamiche, vide la politica americana schierarsi apertamente in ostilità con il Cremlino e intessere relazioni con i terroristi.
In questo contesto di relazioni altalenanti Washington chiude ogni possibilità per la Russia di entrare nell’alleanza atlantica, e i rapporti si deteriorano ulteriormente quando a Monaco alla Conferenza Internazionale sulla Sicurezza del 2007 Putin denuncia apertamente la politica di intrusione della NATO nella sfera di influenza russa.
E nel 2008 avviene qualcosa che per Putin è il superamento della linea rossa. Nell’aprile di quell’anno al vertice NATO in Romania si annuncia la porta aperta all’ingresso di Ucraina e Georgia nell’alleanza, entrambi paesi confinanti con la Russia. Il vertice si chiude con la promessa di rivedere quella richiesta a dicembre.
A quel punto si attiva subito l’ambasciatore americano a Mosca, William Burns, che per ironia della storia dal 2021 è a capo della CIA, il quale invia a Washington un messaggio intitolato Nyet means Nyet, cioè “no vuole dire no”.
Era un comunicato con cui l’ambasciatore spiegava a Washington di quanto pericolosa fosse la mossa dell’inclusione dell’Ucraina e della Georgia nell’Alleanza Atlantica, da Mosca considerata una vera e propria minaccia armata.
E infatti, senza aspettare dicembre, ad agosto la Russia entrerà militarmente in Georgia. La scusa è difendere un territorio semi autonomo della Georgia al confine con la Russia, vittima di un attacco militare da parte dell’esercito georgiano. Ma è curioso sapere che l’intervento russo giunge pochi giorni dopo una esercitazione fatta in Georgia con la presenza di 1000 uomini delle forze armate americane.
Già nell’immediatezza dei fatti, gli Stati Uniti si schierano apertamente con la Georgia e contro l’intervento russo, così come dichiarato dallo stesso Bush. Ma il risultato comunque viene ottenuto da Putin: la Georgia non entrerà mai nella NATO, e pare che anche oggi abbia cambiato idea e non desideri più farne parte.
Dell’Ucraina, invece, ne parliamo dopo.
MAD – Mutual Assured Destruction
Prima di proseguire con gli altri punti, i più importanti, bisogna introdurre un concetto importante, quello della MAD, ovvero la Mutual Assured Destruction, in italiano “mutua distruzione assicurata”.
È il concetto più importante che ha permesso di mantenere fredda la guerra fredda, e che ci ha impedito di distruggerci vicendevolmente bombardandoci con le armi nucleari. Il concetto è in fondo semplice, e parte dal presupposto che la pace è garantita dall’equilibrio tra le potenze. Se gli avversari sono consapevoli che, in caso di scontro, moriranno tutti e due, allora nessuno attaccherà per primo, perché nessuno vuole morire. Se uno dei due contendenti pensa di poter uccidere l’altro, senza morire lui, allora sarà portato ad attaccare.
Si tratta quindi di deterrenza. Non attaccherò, se so che il nemico potrà contrattaccare distruggendomi. Durante la guerra fredda si è fatto di tutto per garantire questo principio, e per fare in modo che Stati Uniti e Unione Sovietica fossero sempre in grado di distruggersi l’un l’altro.
Si chiamava parità strategica. O equilibrio del terrore. E per raggiungerla si sono firmati trattati importantissimi (magari per qualcuno contro intuitivi), come per esempio l’importantissimo Trattato Anti Missili Balistici.
Era un trattato che limitava fortemente la capacità di difesa dei russi e degli americani. Firmandolo ci si impegnava a non costruire un sistema anti missilistico, appunto un sistema anti missili balistici, sistema che avrebbe potuto difendere il paese da un attacco nucleare nemico, distruggendo i missili che gli venivano sparati contro.
Le due grandi potenze, nel 1972, firmavano quindi la rinuncia all’uso dello scudo. Sembra incredibile che per avere la pace anziché rinunciare alla spada si rinunci allo scudo, ma ricordatevi sempre che la pace non arriva mai per la mancanza delle armi, ma sempre e solo dall’equilibrio della forza.
Bene, ora che questo principio è chiaro, possiamo andare avanti.
Uscita dal trattato ABM
Dopo trent’anni di buon funzionamento del Trattato Anti Missili Balistici nel 2002 gli Stati Uniti di George W. Bush decisero di ritirarsi unilateralmente dal trattato, come già anche Clinton provò a fare senza riuscirci.
Semplicemente, dissero a russi e ai cinesi “ciao, noi ce ne andiamo da queste regole, e ricominciamo a costruire il nostro scudo missilistico, il nostro sistema anti missili balistici”. Tranquilli, dissero gli americani, non ce l’abbiamo con voi, ma abbiamo paura degli stati canaglia, abbiamo paura dell’Iran, ed è da lui che ci vogliamo difendere.
Beh, come potete immaginare i russi e i cinesi non furono molto contenti della decisione americana, perché questo li esponeva ad un rischio che durante la guerra fredda era stato scongiurato grazie alla MAD. Putin in quell’occasione propose a Bush di lavorare insieme allo sviluppo di un nuovo sistema di difesa comune anti missili balistici, un lavoro di intesa tra Russia, Europa e USA, ma Bush rifiutò.
L’equilibrio stava saltando, e così oltre a condannare la decisione di Washington, i russi ricominciarono a rimpolpare il loro armamento nucleare e adottarono dottrine più aggressive.
Era un esito prevedibile, ovviamente. Ma gli americani, ora con le mani libere di costruire il loro arsenale difensivo, decisero di spingersi molto in là. Non che fu una novità, c’erano già stati infatti anche presidenti come Reagan che sognavano lo scudo spaziale, convinti che la MAD fosse una strategia suicida, ma di fatto fino all’inizio del nuovo millennio l’equilibrio era rimasto garantito.
Gli americani iniziarono quindi a sviluppare un sistema di difesa, si tratta di lanciamissili che anziché lanciare missili da attacco, lanciano missili progettati per intercettare e distruggere quelli nemici.
Uno di questi sistemi è l’Aegis Ballistic Missile Defense System, composto principalmente da una rete di navi che a bordo ospitano questi lanciatori.
Dislocandole nei punti giusti, queste navi costituiscono una potente rete difensiva contro gli attacchi nemici.
Ma agli americani non basta. E si spingono ancora più in là, decidendo di realizzare anche due basi Aegis sulla terra ferma. Dove? Una in Romania, nel 2016, e una in Polonia, che probabilmente è entrata in funzione alla fine del 2022. E inizialmente ne era prevista anche una in Rep. Ceca.
Parliamo di basi che si trovano a un migliaio di chilometri mal contati da Mosca, praticamente a un tiro di schioppo. Basi dichiarate in funzione anti iraniana, ma che non solo sono rimaste attive, ma sono anche aumentate, con l’aggiunta di quella Polacca, anche dopo che l’Iran aveva ritirato il suo programma nucleare.
Lo so cosa state pensando: queste basi non dovrebbero rappresentare un pericolo per i russi, visto che sono basi di difesa, giusto?
Beh, le cose non stanno per niente così. Queste basi utilizzano un lanciatore che si chiama MK41 VLS, che sta per Vertical Launching System. È un lanciatore per uso navale, che però viene anche impiegato in queste basi terrestri, prodotto dalla Lockheed Martin. Sul sito della Lockheed c’è una brochure pubblicitaria, guardiamola insieme.
Vedete questa immagine? Illustra i tipi di missili che questo lanciatore può ospitare, tra cui c’è ovviamente l’SM-3, il missile che viene usato per intercettare e distruggere i missili nemici. Ma c’è anche il Tomahawk, micidiale missile con una gittata di 2.400 km che può portare una testata all’idrogeno da 150 chilotoni, 10 volte la bomba di Hiroshima.
In pratica queste basi di difesa diventano basi di attacco semplicemente togliendo dai lanciatori i missili da difesa e inserendo al loro posto quelli da attacco.
Non a caso già Obama voleva realizzare nel 2009 una base in Polonia, ma poi cambiò idea contrattando con Putin la possibilità di avere, al suo posto, una nave americana fissa nel Mar Nero, pronta a difendere eventuali attacchi dall’Iran, ma poco efficace nei confronti della Russia.
Ma tutti questi accordi dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014 sono saltati e gli americani hanno deciso di costruire le due basi terrestri che avevano previsto in Romania e in Polonia, oltre a dislocare gli stessi sistemi sulle navi in giro per tutto il mondo, creando così una minaccia esistenziale per la Russia che si trova circondata da sistemi di lancio missilistico che, volendo, la possono colpire al cuore.
Non è stato Putin a voler distruggere l’equilibrio della MAD, ma sono stati gli americani, sotto le amministrazione di ogni colore politico.
Uscita dal trattato INF
Ma il tempo passa e per quanto mal messa la situazione ha margine per peggiorare ulteriormente.
Il trattato anti missili balistici non è l’unico trattato che viene smantellato. La stessa sorte tocca al Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio, un accordo che era stato firmato da Reagan e Gorbačëv e che mise fine alla complessa vicenda degli euromissili.
L’accordo prevedeva l’eliminazione totale dei missili e dei lanciatori in grado di colpire dai 500 ai 5.500km.
Obama nel 2014 accusò formalmente la Russia di aver violato quel trattato, avendo armato con missili a medio raggio due battaglioni. Ma fu Donald Trump, nel 2018, a decidere di uscire unilateralmente dall’accordo ripristinando la capacità americana di dispiegare questo tipo di armamento.
Era probabilmente vero che la Russia aveva violato i termini dell’accordo, così come forse lo avevano fatto anche gli americani, ma il punto è che gli Stati Uniti scelsero di lasciare l’accordo unilateralmente, senza neppure provare a imporne il rispetto.
Anche perché, secondo Trump, l’accordo svantaggiava gli USA nei confronti della Cina, che non avendo siglato nulla di simile poteva usare i missili a gittata intermedia.
Putin comunque tentò di ottenere una moratoria e nuove restrizioni reciproche sui missili a medio raggio. E come già aveva fatto quando Bush uscì dal trattato anti missili balistici propose una soluzione che avrebbe impedito a Russi e NATO di puntarseli contro l’un l’altro, permettendo a entrambi di schierarli contro la Cina.
Ma gli Stati Uniti non ne vollero sapere e l’accordo venne definitivamente sepolto. Anche in questo caso causando una nuova corsa al riarmo massiccio anche da parte russa.
Su questo vi lascio una dichiarazione di Putin stesso: «Qualcuno ha avuto la minima reazione alla nostra dichiarazione che non dispiegheremo questo tipo di missili nella parte europea se ci assicureranno che nessuno di loro lo farà, negli Stati Uniti o in Europa? No. Non hanno mai risposto. Stiamo posizionando i nostri razzi vicino ai confini statunitensi? No, non lo stiamo facendo. Sono gli Stati Uniti che con i loro razzi arrivano alle nostre porte».
Ucraina nella NATO
Arriviamo allora all’elefante nella stanza: l’ingresso dell’Ucraina nella NATO. Come abbiamo visto, l’apertura a questa possibilità avviene già nell’aprile 2008.
Spesso si sente dire che comunque erano state solo promesse vuote, nessuno aveva fatto nulla per promuovere concretamente l’ingresso dell’Ucraina, e comunque ci vogliono anni per queste procedure e quindi la Russia non si sarebbe dovuta preoccupare più di tanto.
Ora, a parte l’assurdità del non doversi preoccupare per un qualcosa che si potrà verificare nell’arco di pochi anni, che per uno Stato è un tempo insignificante, c’è da dire che queste sono tutte affermazioni false.
La discussione dei dettagli era semplicemente stata rinviata a fine anno, nel dicembre 2008, e non è stata poi affrontata solo per due motivi.
Il primo è che nel frattempo la Russia era entrata in conflitto con la Georgia, che era candidata all’ingresso nella NATO insieme all’Ucraina.
E il secondo era una ferma opposizione da parte di Angela Merkel che già nel 2008 aveva capito molto bene quanto sarebbe stato pericoloso fare entrare l’Ucraina nell’alleanza, e per questo si era fermamente opposta sin da subito.
Ma, a dimostrazione del fatto che la NATO è uno strumento della politica estera americana prima che essere un’alleanza difensiva, gli americani fecero pressioni talmente forti che il meeting si concluse con la verbalizzazione della volontà di fare entrare l’Ucraina nell’Alleanza.
Gli interessi americani in Ucraina d’altra parte hanno radici profonde, come dimostra questo video del 2014 in cui Victoria Nuland, all’epoca vicesegretaria di Stato, dichiara che dal 1991 gli USA hanno speso ben cinque miliardi di dollari per sostenere la costruzione della democrazia in Ucraina, non si sa a quale titolo e con quali azioni.
E così, si arriva velocemente al 2014, quando in Ucraina avviene un colpo di Stato che rovescia un governo legittimamente eletto per sostituirlo con un altro.
Non voglio speculare sulle ragioni e sui dietro le quinte di quell’evento, qui parliamo solo di fatti certi.
Al colpo di stato, perché di questo si tratta a prescindere dalle cause che lo hanno scatenato, Mosca risponde con l’annessione della Crimea, e da quel momento in poi i rapporti tra l’occidente e la Russia di Putin diventano apertamente ostili.
Iniziano le sanzioni, inizia l’isolamento della Russia.
Ma inizia anche un massiccio programma di aiuti militari all’Ucraina. Un piano da quattro miliardi di dollari messi sul piatto dall’America di Obama che serviva tra le altre cose a migliorare l’interoperabilità delle forze armate ucraine con la NATO. E questo avveniva a prescindere dall’effettivo ingresso nell’alleanza del paese, e per decisione autonoma di Washington, a ulteriore e superflua dimostrazione che l’Alleanza Atlantica è solo il braccio armato della politica estera statunitense.
Il programma di aiuti militari a Kiev è stato poi, se possibile, anche incrementato da Trump, che oltre agli aiuti per lo sviluppo delle forze armate e per l’interoperabilità NATO ci aggiunse la vendita di armamenti.
E pensate che qualcuno ancora oggi si ostina a chiamare Trump “putiniano,” o “uomo di Putin”, ignorando ovviamente i fatti.
Il resto è storia e lo riepilogo: nel 2016 viene aperta la base missilistica americana in Romania, ufficialmente per la difesa dai missili nemici; nel 2018 si esce dal trattato sui missili a gittata intermedia; nel 2020 si prevede l’apertura di una seconda base missilistica in Polonia, poi slittata al 2022.
Nel 2020 viene programmata la più grande esercitazione NATO in Europa degli ultimi 25 anni, che prevedeva la partecipazione di 37.000 uomini, poi ridimensionata a causa dell’emergenza covid. Durante l’esercitazione, in Estonia, vengono fatte delle operazioni a fuoco vivo a 110km dal confine con la Russia, usando missili tattici con 300km di gittata, in grado di colpire senza preavviso il suolo russo.
Nel 2021 a giugno, in una riunione della NATO a Bruxelles, è stato ribadito nuovamente che «come dichiarato nel 2008, l’impegno è che l’Ucraina entri nell’Alleanza».
A luglio dello stesso anno durante un’esercitazione congiunta con l’Ucraina nel Mar Nero, la “Sea Breeze”, gli inglesi hanno deliberatamente provocato i russi passando con un cacciatorpediniere all’interno delle acque territoriali russe di fronte alla Crimea.
Intervenuta immediatamente la difesa marittima di Mosca, gli inglesi hanno ignorato bellamente le richieste via radio di lasciare le acque territoriali. Allora una unità della marina russa si è avvicinata al cacciatorpediniere inglese e ha sparato in acqua dei colpi di avvertimento, anche questi ignorati.
È infine dovuta intervenire l’aviazione russa con un bombardiere che ha sganciato 4 bombe da 250 kg l’una, e solo a quel punto il cacciatorpediniere si è allontanato dalla Crimea.
Il ministero della difesa britannico ha poi rincarato la dose sostenendo che “la nostra nave stava solo compiendo un innocente passaggio nelle acque ucraine, in accordo alle leggi internazionali”.
Ad agosto 2021 il segretario della difesa USA e il ministro della difesa ucraino hanno firmato lo Schema di difesa strategica USA-Ucraina, un accordo bilaterale firmato nonostante la non partecipazione della Ucraina nella NATO che serviva a impostare una strategia di difesa comune. Un documento di una importanza straordinaria che dimostra come le volontà e il coinvolgimento dell’Ucraina da parte degli USA andasse al di là di qualsiasi partecipazione di Kiev all’Alleanza Atlantica.
E a novembre 2021 arriva un altro accordo bilaterale, il partenariato strategico USA-Ucraina, che prevede collaborazioni su diversi fronti, da quello politico, a quello economico, passando ovviamente per la difesa. Accordo che ribadiva la necessità di riaffermare l’integrità territoriale e la sovranità Ucraina in relazione alla Crimea occupata dai russi.
E ormai a questo punto ci siamo, la guerra è alle porte, mancano pochi mesi.
A dicembre 2021 l’ambasciatore russo negli Stati Uniti dichiara che “i nostri partner mettono a repentaglio l’esistenza del nostro paese […] la penetrazione militare dell’Ucraina da parte degli Stati membri della NATO costituisce una minaccia esistenziale per la Russia”.
È fatta. Nessuno torna indietro.
La Russia a gennaio 2022 chiede una garanzia scritta che l’Ucraina non sarebbe entrata nella NATO, e che l’alleanza avrebbe rimosso i mezzi militari dispiegati in Europa orientale a partire dal 1997. I negoziati però falliscono perché, per dirla con il segretario di Stato Blinken, “non ci sarà alcun cambiamento”.
E così, un mese dopo, il 24 febbraio, Putin entra in Ucraina.
Giudicate voi. Io ho voluto parlare solo dei fatti, chiari e incontrovertibili. Ho voluto lasciare da parte speculazioni più o meno verosimili sugli eventi che per esempio hanno portato al cambio di governo in Ucraina nel 2014. Ci sarebbe molto da dire, ma non voglio fare speculazioni.
Decidete voi, come sono andate le cose.