Prima di parlare di benzina due cose molto importanti. La prima, il Pantoprazolo è ricominciato, quasi-quotidiano, ma non è più su Twitch, bensì direttamente sul mio canale YouTube principale.
La seconda, se potremo continuare o meno a fare il Pantoprazolo, beh, questo dipende essenzialmente dalla seguente faccenda, che ho spiegato per bene in nel video che potete recuperare di seguito.
Tutto chiaro, quindi? Bene, iniziamo.
Il rischio shock petrolifero
Giorgia Meloni lo ha evocato proprio ieri, «si rischia lo choc petrolifero», e puntualmente non è stata presa sul serio da nessuno degli organi di stampa, che infatti hanno riportato queste parole superficialmente e svogliatamente. È il caso di preoccuparsi?
Quantomeno, è il caso di riflettere. Per i più giovani all’ascolto è bene ricordare che parlare di “shock petrolifero” significa rievocare la crisi petrolifera del 1973 conseguente alla guerra dello Yom Kippur.
6 ottobre 1973: gli eserciti di Egitto e Siria attaccano a sorpresa Israele, che presa alla sprovvista si trova inizialmente incapace di reagire. Intervengono poi politicamente sia gli USA che l’URSS e la situazione fortunatamente si raffredda, risolvendosi – dal punto di vista militare – entro la fine del mese di ottobre.
Non è tuttavia l’aspetto militare quello di cui vi voglio parlare, perché la guerra ebbe un altro pesante effetto.
I paesi arabi membri dell’OPEC, in sostegno dell’azione di Egitto e Siria contro Israele, pur non intervenendo direttamente con i loro eserciti, decisero di combattere una guerra economica contro l’occidente filo-israeliano. Ridussero così la produzione di petrolio e tagliarono drasticamente l’esportazione dei barili di greggio facendone impennare il prezzo, una “sanzione” destinata a colpire i paesi occidentali schierati con Israele, primi fra tutti gli USA. Si arrivò addirittura a un vero e proprio embargo nei confronti degli Stati Uniti, e la situazione si protrasse per più di un anno, sino all’inizio del 1975.
La crisi del petrolio colpì duramente tutto l’occidente, e per rimanere “a casa nostra” il periodo di profonda crisi che segnò tutto il decennio ‘70 fu il risultato di una sommatoria di eventi, nella quale la crisi energetica investì un Paese già fortemente provato da anni di instabilità sia politica che economica.
Le analogie con l’oggi
La storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa, disse Marx commentando Hegel.
Oggi ci troviamo in una situazione potenzialmente esplosiva, e il timore di Giorgia Meloni per un nuovo shock petrolifero è più che fondato.
Tralasciando la situazione instabile di un mondo ormai fratturato al punto da rendere inverosimile un ricongiungimento tra est e ovest, se ci fermiamo al fenomeno locale, possiamo osservare che alcune tessere del puzzle sono in posizioni anche peggiori rispetto al 1973.
Tanto per incominciare il principale paese esportatore di petrolio di quell’aerea, l’Arabia Saudita, alleato storico degli Stati Uniti, è stata maltrattata da Washington sin dall’insediamento alla Casa Bianca di nonno Biden. Una delle prime azioni del neo-eletto presidente fu la divulgazione di un report sul caso Khashoggi, che imputava al regno la responsabilità dell’omicidio di un giornalista. Inutile che vi tedi, ho raccontato quella storia in una puntata del Bugiardino.
Appena incrinatosi il rapporto USA-Sauditi, tra moglie e marito corse a metterci lo zampino la Cina, riuscendo – lo abbiamo visto quest’anno – con la sua politica diplomatica da grande potenza a ottenere la ripresa delle relazioni tra Iran e Arabia Saudita. Una grande vittoria per Pechino e una prova di capacità notevole.
Nel frattempo la guerra in Ucraina aveva piegato l’amministrazione Biden (vi ricordate quando la benzina in America era arrivata a $6 al gallone!?) facendo tornare il Presidente a mendicare aiuto da parte di Riad, implorando i sauditi di aumentare la loro produzione di petrolio per salvare l’economia statunitense (e la sua presidenza). La risposta di Bin Salman (il principe regnante) rimase però altanante tra una pernacchia e una scoreggia, anche perché nel frattempo i rapporti con la Cina si erano intensificati al punto da tornare seriamente a parlare di vendita del petrolio in Yuan e non più solo in dollari (discorso “antico” che però si è riacceso ultimamente).
Anche la politica americana nei confronti dell’Iran cambiò drasticamente con il passaggio Trump – Biden. Il primo fu accusato di essere un anti-iraniano oltranzista, oppressore di un popolo che voleva “solo essere come noi” (cit. di un ignorante cosmico che racconta in giro di “essere stato considerato per il premio Nobel”, e in Italia qualcuno lo prende pure sul serio). Il secondo, Biden, riaprì alla possibilità del “nucleare ianiano”, disfando la politica impostata dal suo predecessore.
Ed eccoci quindi arrivati a oggi, con la situazione che ormai conosciamo e l’Iran e la Siria che chiamano a raccolta gli altri paesi arabi per fare la loro parte contro Israele e i paesi che lo sostengono.
Aggiungiamoci che l’Europa sganciandosi dal petrolio russo si è messa in mano a paesi come l’Algeria (grazie Mario Draghi) che oggi si scopre essere sponsor di Hamas, e capirete da soli che il risveglio è una doccia fredda. Non tanto perché per fasulle “questioni morali” ci troveremo costretti a dover chiudere i rapporti anche con l’Algeria come abbiamo fatto con la Russia, ma piuttosto perché il rischio è siano questi paesi a chiuderci il rubinetto da un giorno all’altro per punire la nostra “alleanza filo-sionista”.
Bene, ora è più chiaro cosa si sottende quando si parla di “shock petrolifero”?